Lettera di un italiano a Parigi
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- Pubblicato: Martedì, 07 Dicembre 2010 15:23
Vivendo all’estero, è spesso difficile avere la percezione della risonanza di una notizia nell’opinione pubblica del proprio paese. Se poi quando questa è arrivata non si era in patria, non se ne leggevano i giornali e/o si era in tutt’altre faccende affaccendati, questa percezione rischia di sfuggire del tutto; certo esiste Google, ma è una macchina del tempo difettosa e parziale: restituisce solo le informazioni arrivate (ed, eventualmente, le reazioni causate) alla minoranza che legge i giornali, magari dibatte in rete ed esprime il proprio punto di vista.
In questo caso, comunque, mancano pure i “pezzi” delle grandi firme sulle grandi testate. Ed è strano, perché il tema sta interessando moltissimo gli italiani ed addirittura riguarda uno dei pochissimi argomenti capaci di risvegliare la necessità di mobilitarsi e di intervenire direttamente, per altri versi definitivamente sopite nel narcolettico popolo italico.
La notizia è questa: nel gennaio 2010 la città di Parigi, dopo 15 (quindici) anni di gestione privata del servizio idrico cittadino, ha deciso di tornare al pubblico. E’ molto strano che un fatto del genere sia passato sotto silenzio a Sud delle Alpi, tanto più se si pensa che esso giunge a soli due mesi dalla fiducia posta dal Governo italiano sul “decreto Ronchi” che privatizza i servizi pubblici locali, tra cui appunto la gestione delle risorse idriche. Eppure, a parte qualche sito specializzato e “militante”, solo poche righe…
La capitale francese, dunque, torna a considerare l’acqua un “bene pubblico” da sottrarre alle logiche di mercato ed a spingere il comune verso questa storica decisione è stata, con inflessibile logica transalpina, una considerazione di efficienza… dal punto di vista della comunità, originaria “proprietaria” dell’acqua. In effetti la capitale non è la prima città francese a fare una scelta del genere: ad inaugurare questa politica è stata Grenoble ed a Brest e Tolosa il processo è in fieri.
A spingere la metropoli transalpina ad un gesto decisamente contro-corrente, sono state principalmente preoccupazioni di ordine amministrativo e di contabilità che tuttavia, almeno nelle parole del consigliere comunale (ed oggi presidente di Eau de Paris) Anne Le Strat, assumono un colorito decisamente “politico”:
“Eravamo insoddisfatti dell’organizzazione del servizio: non c’era controllo da parte della collettività municipale, né c’era trasparenza finanziaria. C’era un’organizzazione piuttosto opaca, di cui approfittava il settore privato, che aveva un margine economico considerevole sui contratti; inoltre, l’organizzazione non era ottimale dal punto di vista tecnico, dal momento che, per la produzione e la distribuzione, c’erano più società che si sovrapponevano, creando problemi di contabilità. Abbiamo voluto creare un solo operatore per produzione e distribuzione, più logico in termini di gestione, e abbiamo voluto rendere il servizio pubblico perché, non essendo l’acqua una merce, un bene lucrativo, era opportuno che fosse gestita nell’interesse pubblico, non di società private.”
Nel 2009, semplicemente, scadeva il contratto di gestione siglato tra l’autorità pubblica ed i soggetti privati e, forte delle ferree argomentazioni di cui sopra, l’Hotel de Ville ha deciso di non rinnovarlo e di riprendere in mano la gestione dei servizi idrici.
E’ lecito dunque domandarsi come abbiano reagito le tre multinazionali che, nel 1985, si erano accaparrate il business dei rubinetti della Ville Lumière e che quindici anni dopo hanno dovuto rinunciare ad un affare tanto lucrativo di fronte ad un’amministrazione pubblica insolitamente decisa.
Le aziende, ovviamente, hanno scelto di non entrare in conflitto aperto con la nuova amministrazione pubblica ma, semplicemente, hanno scelto di non “aiutarla” nella nuova attività: ci sono stati trasferimenti “strategici” ad altri settori delle stesse multinazionali di impiegati e tecnici che avrebbero fatto molto comodo ai nuovi proprietari, un’esasperante lentezza nel concedere le informazioni alla società comunale. Infine, durante il periodo di “interregno tecnico” tra la decisione del sindaco e l’effettivo passaggio di consegne, il servizio è percettibilmente peggiorato.
I benefici di cui godono i cittadini, però, non solo spingono i promotori ad andare avanti, ma anche moltissime realtà straniere a guardare a Parigi come modello per la risoluzione dei problemi inerenti all’acqua: ora i parigini hanno a che fare con una sola società (Eau de Paris, appunto) invece che con le tre precedenti, il che snellisce grandemente le pratiche (e chi scrive può dire per dolorosa esperienza che una cosa del genere all’ombra della Tour Eiffel è molto apprezzata), e soprattutto il prezzo dell’acqua si è stabilizzato al ribasso, mentre negli ultimi 25 anni (di cui 15 a gestione privata) era cresciuto del 200%.
In riva alla Senna l’impulso è venuto da un’amministrazione oculata ed attenta al benessere dei cittadini, mentre nessun significativo movimento civile si era creato sul tema dell’acqua durante gli anni della privatizzazione. In Italia non possiamo contare sull’azione di simili consigli comunali perché, se anche amministrazioni virtuose vi fossero, lo strangolamento dovuto ai tagli delle finanziarie governative annichilirebbero qualsiasi loro iniziativa. Non abbiamo scelta: Aux armes, citoyens!