Nota interpretativa dell'Anci sull'esito referendario
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- Pubblicato: Mercoledì, 22 Giugno 2011 10:08
Il 14 Giugno l'Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha diffuso una nota interpretativa sull'esito dei due quesiti referendari sull'acqua e sulle sue ricadute sulle amministrazioni locali.
Prime osservazioni sull’affidamento dei servizi pubblici locali e sulla tariffa del servizio idrico
integrato in esito al referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011.
Prologo
In seguito agli esiti referendari si ritiene opportuno indicare ai Comuni alcune valutazioni circa gli effetti normativi concreti che gli stessi referendum generano nei confronti degli enti e delle situazioni in essere.
In tal senso Anci ha predisposto questa breve nota interpretativa con l’unico scopo di facilitare una lettura sistematica delle norme nazionali e comunitarie, delle abrogazioni e delle pronunce della Corte Costituzionale per mettere a disposizione dei Comuni degli strumenti operativi volti a rassicurare gli enti stessi nell’interpretazione delle norme che saranno chiamati a svolgere in sede territoriale.
Non è intenzione dell’Associazione prendere alcuna posizione politica rispetto ai referendum ma semmai continuare a dare un contributo per la definizione di soluzioni che tengano conto del punto di vista dei Comuni.
Premessa
La recente pronuncia referendaria ha sancito l’abrogazione dell’art. 23 bis del dl 112/2008 – convertito in legge 133/2008, come modificato dal dl 135/2009 cd decreto Ronchi, convertito in legge 166/2009 smi - in materia di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e l’abrogazione dell’articolo 154 del d.lgs. 152/2006, cd codice ambientale, nella parte in cui riconosceva, nella tariffa del sistema idrico integrato, la remunerazione del capitale investito secondo un tasso di rendimento prestabilito.
L’effettiva portata della consultazione popolare è dunque più vasta rispetto alla sola richiamata pubblicizzazione dell’acqua ed investe le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, ad esempio trasporti pubblici locali e rifiuti.
Non sono investite dall’esito referendario e restano valide le discipline settoriali inerenti la distribuzione del gas, la distribuzione di energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali, già escluse dall’applicazione dell’articolo 23 bis ed oggetto di specifiche normative.
All’esito del referendum, i comuni sono più liberi di scegliere la formula organizzativa che ritengono più opportuna, ivi compresa la gara, e sempre in ossequio ai principi europei in materia di tutela della concorrenza.
I Comuni sono investiti di una nuova “libertà responsabile”, che responsabilmente utilizzeranno e del cui utilizzo saranno chiamati a rispondere. Allo stesso modo, i comuni non si opporranno a nuovi tentativi di disciplina nel senso della “modernizzazione” dei servizi pubblici locali, a condizione che non si pretenda di intervenire sulla carne viva degli enti locali senza il parere degli stessi.
Rimane inalterato l’avviso dell’Associazione circa la necessità di un intervento effettivamente riformatore; in particolare, dell’introduzione di un’Authority di settore, che vigili sulla correttezza di tutti gli affidamenti (anche in house) e sulle tariffe.
Anche dopo la pronuncia referendaria i Comuni sono chiamati, da un lato, a garantire alle comunità locali l’accesso ai beni ed ai servizi pubblici e, dall’altro, a ricercare un rapporto fra costi e tariffe che consenta alle gestione di essere in pareggio.
Qualsiasi forma di gestione venga individuata, infatti, resta ferma la necessità di una sana e corretta gestione economico-finanziaria che deve garantire una qualità elevata dei servizi ed investimenti nelle reti e negli impianti.
Normativa di riferimento
L’abrogazione del succitato articolo 23 bis smi e, come ritenuto dalla dottrina prevalente, del conseguente regolamento di delegificazione, il dpr 168/2010 previsto dalla stessa norma principale, rende necessario il chiarimento di alcuni aspetti inerenti gli effetti e le possibilità che si aprono per i
Comuni in materia di affidamento dei servizi.
Il Ronchi stabiliva che le modalità ordinarie di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ivi incluso del servizio idrico integrato, fossero:
- l’affidamento a soggetti privati attraverso gara;
- l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, con socio privato operativo scelto attraverso gara a doppio oggetto e detentore di almeno il 40% del capitale.
La possibilità di ricorrere all’affidamento in house era relegata a deroga eccezionale sulla base di determinate caratteristiche morfologiche, previa analisi di mercato e parere obbligatorio e non vincolante dell’Antitrust (per valori superiori ai 200.000 euro annui, come previsto dal dpr 168/2010).
Aspetto importante è che la norma in questione stabiliva e regolamentava, previsione non contemplata dall’ordinamento comunitario, un periodo transitorio per la scadenza obbligatoria degli affidamenti diretti non conformi alla norma stessa, disciplinandone termini e modalità.
L’abrogazione della norma e del sistema transitorio ivi previsto, rende particolarmente importante la
valutazione che i Comuni dovranno compiere circa la validità fino alla scadenza prevista degli affidamenti in essere.
Effetti della consultazione sulle gestioni in essere
In merito alle gestioni esistenti, dal referendum non consegue infatti l’automatica scadenza o l’illegittimità degli affidamenti in essere.
Resteranno innanzitutto attivi, fino alla scadenza naturale, gli affidamenti dei servizi effettuati a societàpubbliche in house providing che soddisfano i requisiti fissati dalla giurisprudenza comunitaria (controllosul gestore analogo a quello svolto sui propri organi, svolgimento dell’attività in via prevalente per l’amministrazione o le amministrazioni socie, capitale societario totalmente pubblico).
Nessun obbligo dunque per i Comuni di ridurre le proprie partecipazioni secondo tempi e modalità
prestabilite, per poter portare a scadenza i contratti in essere (la norma abrogata prevedeva per le società quotate in borsa di ridurre le azioni in mano pubblica, entro il 31/12/2015, a non più del 30% nonchè per quelle non quotate la cessione, entro il 31/12/2011, di almeno il 40% delle quota pubblica a privati; nessuno di questi obblighi è sopravvissuto all’esito del referendum).
Più complesso è stabilire se l’abrogazione referendaria restituisca ai comuni la possibilità di una gestione, oltre che mediante società a totale partecipazione pubblica, anche in economia o mediante azienda speciale. Il punto è controverso, ma – al di là delle recenti prese di posizione del giudice amministrativo, che hanno sottolineato l’inesistenza di un divieto in tal senso nell’ordinamento interno (CdS, sez. V, 26 gennaio 2011, n. 552) – non v’è dubbio che l’abrogazione dell’art. 23bis e la “non reviviscenza” dell’art. 113, c. 5, TUEL, non consentono di immaginare la persistenza di un divieto alla gestione in economia o mediante azienda speciale, che pure la Corte Costituzionale aveva ricostruito in forza della sostanziale continuità di disciplina tra gli artt. 35, l. 448/01 e 14, d.l. 269/03, e l’art. 23bis; continuità oggi spezzata, appunto, dall’esito referendario e dalla contestuale abrogazione della disciplina del TUEL e di quella del d.l. 112/08.
Alla luce delle considerazioni su esposte le amministrazioni si trovano comunque a dover compiere un’analisi dei propri affidamenti ed a verificarne esclusivamente la conformità rispetto ai dettami comunitari.
Ad esempio erano e restano illegittime le società non in house providing e potrebbero esserlo le società miste il cui socio sia stato selezionato senza gara o in base a requisiti non specifici (cd socio generalista).
Il referendum sostanzialmente ha posto le modalità di gestione in house e le altre sullo stesso piano purchè entro specifici parametri comunitari.
Ciò comporta anche che le società pubbliche in house saranno soggette alle limitazioni previste dalle sole norme comunitarie per la partecipazione alle gare per l’affidamento di altri servizi in altri enti locali, essendo stata abrogata la norma del Ronchi che vietava a tali società la possibilità di ottenere ne direttamente né con gara l’affidamento di ulteriori servizi o di servizi in ambiti territoriali diversi dal proprio.
Le modalità di affidamento post-referendum
La Corte Costituzionale nella sentenza di ammissibilità sul quesito referendario (sentenza n. 24/2011), analizzando gli effetti dell’abrogazione dell’articolo 23 bis, ha previsto che non consegue alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo mentre vige l’applicazione immediata nell’ordinamento nazionale della normativa comunitaria (meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) sulle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.
Quest’ultima non impone la privatizzazione dei servizi pubblici locali, ma consente agli Stati membri di mantenere la gestione pubblica e non prevede una soglia minima di partecipazione dei privati nelle società miste.
In sostanza adesso i Comuni, possono affidare la gestione dei servizi pubblici locali, incluso il servizio idrico integrato, sul quale occorrono tuttavia specifiche considerazioni, mediante:
- gara ad evidenza pubblica, in questo caso in base alle normative inerenti gli appalti o le concessioni di servizi;
- società mista mediante selezione con gara a doppio oggetto del socio privato non generalista (quindi operativo) che collabora con il soggetto pubblico, in applicazione delle disposizioni inerenti il Partenariato Pubblico Privato, senza dunque vincoli relativi alla percentuale di capitale detenuta dal privato stesso;
- gestione in house providing purchè in possesso dei requisiti previsti dall’ordinamento comunitario.
Il Servizio idrico integrato
Discorso specifico merita il servizio idrico integrato per il quale valgono le considerazioni sin qui svolte, con la peculiarità però che il referendum ha sancito l’abrogazione della «remunerazione del capitale investito» nella determinazione della tariffa del servizio, prevista dal cd decreto ambientale.
Tale servizio pubblico può essere affidato secondo le modalità scelte dalla stazione appaltante, ma al gestore – pur rimanendo la previsione della copertura dei costi di gestione – non potrà essere riconosciuto nessun corrispettivo a fronte degli investimenti programmati.
Per comprendere però appieno la portata di tale previsione è necessario analizzare le possibili conseguenze della normativa che rimane in vigore.
Da un lato infatti il servizio deve essere svolto obbligatoriamente in forma associata attraverso Ambiti Territoriali Ottimali governati dalle abrogande Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (AATO), l’abrogazione dell’art. 23bis, non tocca la diversa norma di soppressione delle autorità d’ambito, con la previsione che le siano stabilite dalla AATO applicando il metodo normalizzato nazionale, oggetto di revisione.
Dall’altro, il recente dl 70/2011, cd decreto sviluppo in corso di conversione alla Camera, ha disposto la costituzione dell’Agenzia azionale di vigilanza sulle risorse idriche, che tra i suoi compiti ha quello di predisporre il metodo normalizzato in conformità ai principi del costo finanziario, della fornitura del servizio e dei relativi costi ambientali e del costo delle risorse.
Dalla declinazione, da parte dell’Agenzia, di questa previsione normativa conseguiranno le modalità di finanziamento degli investimenti e la conseguente rilevanza economica o meno del servizio idrico integrato.
Nel frattempo la determinazione delle tariffe resta in capo alle Autorità d’ambito di cui è stata già disposta la cessazione dell’attività al 31/12/2011, con conseguente regionalizzazione delle decisioni in materia di sostituzione delle stesse, il che rende urgente un intervento chiarificatore .