Ex Rialto: se la giunta Raggi costruisce il deserto e lo chiama legalità
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- Pubblicato: Mercoledì, 22 Febbraio 2017 21:41
I sigilli posti all’ex Rialto occupato sono una cartina di tornasole dello stato di salute della democrazia nella città di Roma e soprattutto di come oggi i poteri siano dislocati ben al di fuori dagli organi elettivi.
Accade così che, dopo un anno di mobilitazioni della città dal basso, il Consiglio Comunale finalmente approvi una mozione che chiede espressamente la moratoria su tutti gli sgomberi di spazi sociali e culturali, ovvero delle oltre 850 esperienze autogestite e dal basso che hanno sinora impedito ad una città, da sempre prigioniera della rendita e della finanza, di sprofondare nell’anomia e nella solitudine competitiva.
E accade che gli sgomberi proseguano senza soluzione di continuità, a volte decisi dalla Prefettura, a volte dalla Magistratura, a volte –è questo il caso dell’ex Rialto- dal Comune stesso.
E accade che chi governa la città ammetta di non saperne nulla e di nulla poter fare di fronte ad una macchina amministrativa che si muove in autonomia.
C’è qualcosa che la giunta Raggi continua a non capire: oggi vincere le elezioni non corrisponde a prendere il potere e se non si governa confliggendo con i poteri forti –ovunque dislocati- si finisce per assecondarli, tanto sulle scelte strategiche quanto nei comportamenti relativi all’etica pubblica.
Fino a deificare le procedure, per le quali se la Corte dei Conti si è inventata che l’edificio dell’ex Rialto (uno stabile degradato da decenni di abbandono, privo di riscaldamento e di acqua potabile) deve produrre profitto per il Comune e il Dirigente del Dipartimento Patrimonio esegue chiedendo cifre a dir poco esorbitanti di affitto a realtà che agiscono su base di volontariato, fino a porre i sigilli alla struttura, tutta l’energia della Giunta Raggi viene spesa per dire di non essere d’accordo e nulla più.
E’ così che esperienze associative, culturali e di movimento come il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Attac Italia, Circolo Gianni Bosio, Trasform (solo per citare alcune delle decine che avevano sede all’ex Rialto) vengono messe per strada e un edificio, reso vivibile dalle stesse, riconsegnato al degrado e all’abbandono.
Tutto questo perché c’è qualcos’altro che la Giunta Raggi continua a non capire: la legalità è un concetto complesso e, se non se ne comprendono le articolazioni, si finisce per fare il contrario di quello che si era annunciato. Infatti, da oggi legalmente il Comune avrà un edificio in più abbandonato al degrado, che non produrrà alcuno dei profitti richiesti dalla Corte dei Conti, mentre la città avrà perso un altro dei suoi cuori pulsanti di cultura, politica e socialità.
E’ del resto quanto già dimostrato in merito al debito di Roma Capitale e alla gestione dei beni comuni e dei servizi pubblici locali. Si può mettere in campo un’indagine indipendente e partecipata sul debito (scritta nel programma elettorale) senza confliggere con il decreto “Salva Roma” che quel debito perpetua, predeterminando qualsiasi scelta da qui al 2048? Si può aprire un percorso per la ripubblicizzazione dell’acqua (decisa da un referendum nazionale e scritta nel programma elettorale) non configgendo con Acea Spa e lo shopping che sta facendo sui servizi idrici di tutto il centro Italia? Non si può e l’illusione di essere la Sindaca di tutti evapora in una realtà in cui ci si trova ininfluenti rispetto all’azione dei poteri forti.
Il problema di fondo è che chi governa pensando di rappresentare una città complessa finisce per costruire poco più che una rappresentazione chiusa e autoreferenziale, con la conseguente necessità di continua legittimazione da parte di quelli “che contano”.
Ma l’idea che si possa continuare a sfuggire alle contraddizioni è ormai senza fiato. Da anni a Roma i poteri forti hanno deciso di eliminare tutto ciò che si muove al di fuori dello schema del profitto, della rendita e della solitudine. Ascoltare la città è l’unico modo per fermarli e per non doversi trovare domani ad aver costruito un deserto sociale chiamato legalità.
di Marco Bersani (pubblicato su Il Manifesto del 21.2.2017)