Mercato idrico, la danza è iniziata
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- Pubblicato: Martedì, 25 Maggio 2010 13:30
Matrioske finanziarie che controllano i rubinetti dei cittadini. Con la Legge Ronchi si aprono grandi possibilità d'affari per le aziende del settore servizi con fusioni, accorpamenti, acquisizioni. La gestione dell'acqua si sposta sempre di più nelle mani della borsa, di banche e fondazioni, fondi e manager. Sfugge definitivamente al controllo dei Comuni e dei cittadini.
La prima mossa è di ieri ed ha per protagonista Iride (la multutility “nata dalla integrazione tra Aem Torino e Amga Genova” ovvero tra l'azienda elettrica ex-municipale del capoluogo piemontese e la S.p.A. al 51% pubblica del gas e dell'acqua di quello ligure) e il fondo italiano per le infrastrutture F2i promosso dalla Cassa Depositi e Prestiti (1,8 miliardi di euro di capitalizzazione, sottoscritti in gran parte da banche, fondazioni bancarie e casse previdenziali).
Insieme promuoveranno un accorpamento di tutti i servizi idrici detenuti da Iride e le sue associate e si lanciano nel mercato aperto dalla Legge Ronchi. Acquisizioni e fusioni che verranno ripagate dalle bollette dei cittadini. Perché non c'è altro ricavo, e più sono i rubinetti, più crescono le aggregazioni, più si può “contare in borsa”. Una pura bolla finanziaria gonfiata ad acqua. Seguite bene perché c'è da farsi venire il mal di testa.
La ragnatela idrica
Con un annuncio congiunto Iride e F2i i si lanciano nel Risiko delle concessioni dei servizi idrici aperto dalla Legge Ronchi. L'alleanza prevede che Iride conferisca a una nuova società contenitore, la San Giacomo S.r.l., la sua partecipazione del 68% in Mediterranea acque (anch'essa quotata in Borsa, gestisce l'acqua di Genova) e tutte le altre partecipazioni “idriche” detenute (essenzialmente Amter S.p.A. ed Idrotigullio S.p.A che gestiscono i servizi idrici sulle riviere liguri di ponente e levante). San Giacomo acquisterà le quote di Mediterranea Acque detenute dalla multinazionale francese Veolia e da tutti gli altri partner a un prezzo bloccato di 3 euro. F2i finanzierà il tutto.
Alla fine dell'operazione, Mediterranea Acque sarà posseduta da San Giacomo (ovvero da Iride al 60% e da F2i al 40%) con una piccola quota di Impregilo e solo il 9% sul mercato borsistico (un flottante molto piccolo) e si dedicherà essenzialmente a diventare “uno dei principali operatori del servizio idrico in Italia, per dimensione e per estensione del servizio sul territorio nazionale”.
Come? Con “un programma di partecipazione alle future gare ad evidenza pubblica per l’assunzione di partecipazioni ovvero la gestione di ulteriori ambiti territoriali, allorquando troverà applicazione il nuovo regime delineato dall’entrata in vigore della Legge Ronchi”. Una campagna di shopping delle quote delle S.p.A. pubbliche in vendita obbligata dalla recente legge del governo.
Si compie in questo modo la prima mossa in grande stile per il riassetto del settore idrico che vedrà protagoniste le multiutility quotate in borsa (Acea, Hera, A2A su tutte), le multinazionali straniere presenti sul territorio (Veolia e Suez essenzialmente), fondazioni e banche. In palio un mercato di circa 8 miliardi di euro oggi detenuto in prevalenza da S.p.A. a controllo pubblico e un riassetto in borsa per circa 19 miliardi di euro di capitalizzazioni.
sempre che si riesca poi a dipanare la ragnatela di accordi e fusioni che in questi anni hanno portato i servizi idrici sempre più lontano dai territori e sempre più sui mercati finanziari.
L'asse padano occidentale che arriva fino in Sicilia
Il caso di Iride, in questo senso, è particolarmente indicativo, visto che il gruppo partecipato da Genova e Torino, oltre che di Mediterranea Acque è anche socio di Acque Potabili (a sua volta detenuta da “Acque Potabili S.p.A. con sede in Torino, Acquedotto di Savona S.p.A. con sede in Savona, Acquedotto Monferrato S.p.A. con sede in Torino e da Acque Potabili Siciliane S.p.A. con sede in Palermo”) e sta completando un processo di fusione con Enìa, la multiservizi emiliana quotata a Piazza Affari, nata dalla fusione delle S.p.A. delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Iride ed Enìa insieme definirebbero un asse “padano occidentale” con 4 miliardi di capitalizzazione di borsa e 2,5 milioni di “clienti” solo per il servizio idrico, senza contare le quote di cittadini palermitani portati in dote da Iride e di Enna portati in dote da Enìa.
Con il rafforzamento di Mediterranea Acque, si dovrebbero quindi accorpare tutte le gestioni idriche tra Piemonte, Liguria, Emilia, Sicilia, più la campagna di shopping finanziata da F2i. Serve al territorio, ai cittadini, al recupero delle perdite, al risparmio della risorsa e alla sua gestione integrata? La storia delle liberalizzazioni negli altri paesi dice di no. Ma in Italia, con venti anni di ritardo, si procede a far diventare l'acqua un bene commerciabile e finanziario, lontano dalle necessità del territorio e dal controllo di cittadini e Comuni. Diranno che queste operazioni servono per raccogliere gli investimenti che mancano. Non è vero. Servono per fare massa finanziaria e garantire ritorni di bilancio. I privati non finanziano opere idriche, non c'è margine di ritorno. E infatti con la liberalizzazione sono crollati gli investimenti in reti e manutenzione (dai 2 miliardi anno, ai 700 milioni attuali). A meno di dargli mano libera sulle tariffe. E fargli mettere le mani nelle vostre tasche.